VERIFICA DI LATINO DI SABATO 18 DICEMBRE SU CICERONE

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  1. pedruto
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    IN VERREM II, 4,1. 1- 2

    venio nunc ad istius ,quem ad modum ipse appellat,stadium,ut amici eius,morbum et insaniam, ut siculi,latrocinium;ego quo nomine appellem,nescio:rem vobis proponam; vos eam suo, non nominis pondere,penditote.Genus ipsum prius cognoscite, iudices; deinde fortasse non magno opere quaeretis,quo id nomine appellandum putetis.Nego in sicilia tota, tam locupleti, tam vetere provincia,tot oppidis,tot familiis tam copiosis,ullum argenteum vas,ullum Corinthium aut Deliacumfuisse,ullam gemmam aut margaritam,quicquam ex auro aut ebore factum,signum ullum aeneum,marmoreum,eburneum,nego ullam picturam neque in tabula neque in textili, quin conquisierit ,inspexerit quod placitum sit abstulerit.



    Passo ora a (parlare de)lla "passione" [studium, e non "stadium"] - come [quem ad modum] lui stesso [ipse, Verre] la chiama - di costui [lett. di codesto; sempre riferito a Verre], ovvero, a detta dei suoi amici [intendi: come la dicono, sottointeso], (della) "mania insana" [l'endiadi va legata], o (a detta de)i Siciliani, (del vero e proprio) latrocinio (ch'egli ha perpetrato). Io, per me, non saprei (francamente) come definirla [lett. non so con che nome…]. Voi (giudici, comunque,) valutatela [penditote] non (tanto) in base al nome, ma (in quanto) al suo effettivo peso [ovvero, al di là di come lo vogliate chiamare, valutate il misfatto in se stesso, come affermato appena dopo]. O giudici, rendetevi innanzitutto [prius] conto della natura [genus] (dei misfatti) in sé e per sé [ipsum]; di poi, forse non avrete alcuna difficoltà a trovare il [lett. non andrete molto (magno-opere) in cerca…] nome da affibbiarvi, a vostro giudizio [lett. con qual nome riteniate debba…].
    Io affermo che in tutta la Sicilia, provincia tanto ricca e antica, (piena) di tante città e di tante famiglie così benestanti [copiosis], non [affermo che… non = nego, all'inizio del periodo] c'è stato alcun vaso d'argento, di Corinto o di Delo, (come non c'è stata) alcuna pietra preziosa o perla, né oggetto [quicquam factum] d'oro o d'avorio, né alcuna statua di bronzo, di marmo o d'avorio; affermo che non (c'è stato) alcun quadro né arazzo [in textili] che egli [Verre] (non) abbia desiderato, esaminato e arraffato, se di suo gradimento [quod placitum sit].



    IN VERREM, II 4, 74


    Illo tempore Segestanis maxima cum cura haec ipsa Diana, de qua dicimus, redditur; reportatur Segestam; in suis antiquis sedibus summa cum gratulatione civium et laetitia reponitur. Haec erat posita Segestae sane excelsa in basi, in qua grandibus litteris P. Africani nomen erat incisum eumque Carthagine capta restituisse perscriptum. Colebatur a civibus, ab omnibus advenis visebatur; cum quaestor essem, nihil mihi ab illis est demonstratum prius. Erat admodum amplum et excelsum signum cum stola; verum tamen inerat in illa magnitudine aetas atque habitus virginalis; sagittae pendebant ab umero, sinistra manu retinebat arcum, dextra ardentem facem praeferebat



    In quel tempo QUELLA STESSA dIANA DI cui stiamo parlando con grande cura era dai Segestani portata; era infatti riportata a Segesta e riposto nelle sue antichissime sedi con grato dei cittadini. Questa era posta a Segesta su una eccelsa base nella quale a grandi lettere era inciso il nome di P.Africano, c'era inoltre inciso che P. Africano dopo la presa di Cartagine aveva posto quella statua. Era onorata con massima religione dai cittadini, era visitata da tutti (advenis). Era oltremodo ampio e grande il segno con la stola, vi era in verità in quella assai magnificente grandezza l'età e l'abito verginale, dardi pendevano dall'omero, teneva con la mano sinistra l'arco, con la destra una fiaccola ardente.
     
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  2. pedruto
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    CATILINARIA UN ATTACCO DIRETTO E VIOLENTO

    Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? Nihilne te nocturnum praesidium Palati, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus habendi senatus locus, nihil horum ora voltusque moverunt? Patere tua consilia non sentis, constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides? Quid proxima, quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii ceperis, quem nostrum ignorare arbitraris? [2] O tempora, o mores! Senatus haec intellegit. Consul videt; hic tamen vivit. Vivit? immo vero etiam in senatum venit, fit publici consilii particeps, notat et designat oculis ad caedem unum quemque nostrum. Nos autem fortes viri satis facere rei publicae videmur, si istius furorem ac tela vitemus. Ad mortem te, Catilina, duci iussu consulis iam pridem oportebat, in te conferri pestem, quam tu in nos [omnes iam diu] machinaris.




    Fino a quando, insomma, abuserai della nostra pazienza, o Catilina? Per quanto tempo ancora questa tua pazzia ci prenderà in giro? A che termine si spingerà il tuo sfrenato ardire? Non ti hanno turbato per nulla il presidio notturno del Palatino, le sentinelle della città, il timore del popolo, l’accorrere di tutti i cittadini onesti, questo luogo,molto ben fortificato per l’assemblea del senato, i volti e le espressioni del viso di questi? Non ti rendi conto che i tuoi progetti sono scoperti? Non vedi che la congiura è ormai tenuta sotto controllo dalla consapevolezza di tutti questi? Chi di noi pensi che non sappia che cosa tu abbia fatto la notte scorsa e la notte precedente, dove tu sia stato, chi tu abbia incontrato, che decisioni tu abbia preso?

    Oh che tempi, oh che costumi! Il senato ha capito queste cose, il console lo vede; e, nonostante ciò, costui vive! Vive? Anzi, viene anche in senato, è reso partecipe alle pubbliche deliberazioni, osserva e destina con lo sguardo all' uccisione ciascuno di noi. Noi invece, uomini forti, pensiamo di fare abbastanza per la patria, se evitiamo la follia e i dardi di costui. Già da tempo, Catilina, sarebbe stato necessario che fossi condannato a morte per volere del console e rivolgere contro di te il male che tu già da tempo vai ordendo contro tutti noi.




    CATILINARIA "FUORI DALLA CITTà"




    Quae cum ita sint, Catilina, perge, quo coepisti, egredere aliquando ex urbe; patent portae; proficiscere. Nimium diu te imperatorem tua illa Manliana castra desiderant. Educ tecum etiam omnes tuos, si minus, quam plurimos; purga urbem. Magno me metu liberabis, dum modo inter me atque te murus intersit. Nobiscum versari iam diutius non potes; non feram, non patiar, non sinam.Magna dis inmortalibus habenda est atque huic ipsi Iovi Statori, antiquissimo custodi huius urbis, gratia, quod hanc tam taetram, tam horribilem tamque infestam rei publicae pestem totiens iam effugimus.


    pOICHè le cose stanno così, Catilina, porta a termine la strada che hai intrapreso! Lascia una buona volta la città! Le porte sono aperte. Vattene! Da troppo tempo il tuo ben noto accampamento di Manlio ti aspetta come comandante. Conduci con te anche tutti i tuoi; almeno il maggior numero possibile. Purifica la città! Mi libererai da una grande paura purchè ci sia un muro tra me e te. Non puoi più stare con noi! Non intendo sopportarlo, tollerarlo, permetterlo.Dobbiamo grande riconoscenza agli dèi immortali e a Giove Statore, antichissimo custode della nostra città, per essere sfuggiti ormai molte volte a un flagello così spaventoso, orribile, abominevole per lo Stato.

    Edited by pedruto - 17/12/2010, 22:20
     
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  3. Overlord93
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    CICERONE

    Esponente di un'agiata famiglia dell'ordine equestre, Cicerone fu una delle figure più rilevanti di tutta l'antichità romana. La sua vastissima produzione letteraria, che va dalle orazioni politiche agli scritti di filosofia e retorica, oltre a offrire un prezioso ritratto della società romana negli ultimi travagliati anni della repubblica, rimase come esempio per tutti gli autori del I secolo a.C., tanto da poter essere considerata il prototipo della letteratura latina classica. Attraverso l'opera di Cicerone, grande ammiratore della cultura greca, i Romani poterono anche acquisire una migliore conoscenza della filosofia. Tra i suoi maggiori contributi alla cultura latina ci fu senza dubbio la creazione di un lessico filosofico latino: Cicerone si impegnò, infatti, a trovare il corrispondente vocabolo in latino per tutti i termini specifici del linguaggio filosofico greco.[1] Tra le opere fondamentali per la comprensione del mondo latino si collocano invece le Lettere (Epistulae, in particolar modo quelle all'amico Tito Pomponio Attico), che offrono numerosissime riflessioni su ogni avvenimento, permettendo di comprendere quali fossero le reali linee politiche dell'aristocrazia romana.

    Cicerone occupò per molti anni anche un ruolo di primaria importanza nel mondo della politica: dopo aver salvato la repubblica dal tentativo eversivo di Lucio Sergio Catilina ed aver così ottenuto l'appellativo di pater patriae (padre della patria), ricoprì un ruolo di primissima importanza all'interno della fazione degli Optimates. Fu infatti Cicerone che, negli anni delle guerre civili, difese strenuamente fino alla morte una repubblica giunta ormai all'ultimo respiro e destinata a trasformarsi nel principatus augusteo.

    Cicerone non fu, certamente, colto di sorpresa dall'assassinio, da parte dei Liberatores, di Giulio Cesare: era sicuramente al corrente della congiura che si andava tessendo, ma decise sempre di tenersene al di fuori, pur manifestando una grande ammirazione per l'uomo che era destinato a divenire il simbolo stesso della congiura, Bruto. E lo stesso Bruto, infatti, con il pugnale sporco del sangue di Cesare ancora in mano, additò Cicerone definendolo l'uomo che avrebbe ristabilito l'ordine nella repubblica.[60]

    Cicerone, infatti, tornò ad essere anche di fatto uno dei maggiori leader della fazione degli optimates, mentre Marco Antonio, luogotenente e magister equitum di Cesare, prendeva le redini della fazione dei populares. Antonio tentò di fare in modo che il senato decidesse di organizzare una spedizione contro i Liberatores (che intanto si erano trasferiti nella penisola balcanica), ma Cicerone fu promotore di un accordo che, assicurando il riconoscimento di tutti i provvedimenti presi da Cesare nel corso della sua dittatura, garantiva l'impunità a Bruto e Cassio.[61] Poco dopo, i due, assieme agli altri congiurati, fuggirono verso la penisola ellenica.[62]
    Statua di Augusto comunemente detta Augusto di Prima Porta, custodita ai Musei Vaticani

    Tra Cicerone ed Antonio, comunque, i rapporti non erano dei migliori, e i due, d'altra parte, si trovavano all'esatto opposto in ambito politico: Cicerone era il difensore degli interessi della nobilitas senatoriale, convinto sostenitore della repubblica, mentre Antonio avrebbe voluto fare suoi i progetti di Cesare ed assumere gradualmente un potere monarchico.[63] Intanto, un'altra figura si andava affermando dal nulla nel panorama politico di Roma, la figura del giovane Ottaviano (destinato a diventare Augusto), pronipote di Cesare e suo erede designato nel testamento.[64][65] Ottaviano decise di adottare una politica filosenatoriale, senza mostrare nessuna volontà di imitare le mosse di Cesare.

    Cicerone, allora, si schierò ancora più apertamente contro Antonio, definendo Ottaviano come vero erede politico di Cesare, e come uomo mandato dagli dei per ristabilire l'ordine.[66] Cicerone sperava, infatti, nell'affermazione di un giovane princeps in re publica che, assistito da un membro del senato di grande esperienza, come lo stesso Cicerone, riportasse la pace e riformasse la repubblica.[67] Iniziò, inoltre, tra il 44 a.C. e il 43 a.C., a pronunciare contro Antonio una serie di orazioni, note con il nome di Filippiche in quanto richiamavano quelle omonime pronunciate da Demostene contro Filippo II di Macedonia. Intanto, Antonio, nella volontà di condurre una nuova guerra in Gallia per accrescere il proprio prestigio, decise di marciare contro Decimo Giunio Bruto Albino, governatore della Gallia Cisalpina, e lo assediò nella città di Modena. Qui Antonio fu però raggiunto dagli eserciti consolari guidati da Aulo Irzio, Gaio Vibio Pansa e dallo stesso Ottaviano, che lo sconfissero.[68]

    Tornato a Roma, Ottaviano si trovò nella situazione di dover scegliere tra il totale abbandono della politica cesariana, che avrebbe tenuto in vita l'agonizzante repubblica, e l'allontanamento dal senato, al quale rischiava di asservirsi totalmente.[69] Scelse di proseguire almeno in parte la politica cesariana, e costituì, assieme ad Antonio e a Marco Emilio Lepido, il secondo triumvirato, un accordo politico secondo il quale i tre uomini avrebbero dovuto compiere una profonda opera di riforma della repubblica.[70] Cicerone fu costretto ad accettare che sarebbe ora stato impossibile attuare il suo piano di un princeps, ma non per questo ritirò le severe accuse rivolte ad Antonio nelle Filippiche. Quest'ultimo, allora, nonostante l'opposizione di Ottaviano, decise di inserire Cicerone nelle liste di proscrizione, decretando, così, la sua condanna a morte.[71]

    Cicerone lasciò allora Roma e si ritirò nella sua villa di Formia, che aveva ricostruito dopo gli episodi legati a Clodio. A Formia, però, fu raggiunto da alcuni sicari inviati da Antonio, che, aiutati da un liberto di nome Filologo,[72] poterono trovarlo fin troppo facilmente. Cicerone, accortosi dell'arrivo dei suoi assassini, non tentò di difendersi, ma si rassegnò alla sua sorte, e venne decapitato [73] Una volta ucciso, per ordine di Antonio, gli furono tagliate anche le mani (o forse soltanto la mano destra, usata per scrivere ed indicare durante i discorsi), con cui aveva scritto le Filippiche,[74] che furono esposte in senato insieme alla testa, appese ai rostri che si trovavano sopra la tribuna da cui i senatori tenevano le loro orazioni, come monito per gli oppositori del triumvirato.
     
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2 replies since 15/12/2010, 21:39   7222 views
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